martedì, Luglio 16, 2024

TITOLI EDILIZI: non c’è ristrutturazione edilizia se non si ha la certezza del bene demolito.

TITOLI EDILIZI
TITOLI EDILIZI

La premessa: un proprietario ricorrente, di un terreno posto in un comune umbro, sosteneva che già prima dell’acquisto, insiteva un fabbricato per il quale era stata presentata al Comune competenza, istanza di demolizione del fabbricato stesso e corredata da relative fotografie. Il Comune, dava l’assenzo alla relativa demolizione a tutti gli stabili a meno di un immobile adibito a casa rurale, che il proprietario dell’epoca, con successiva istanza di riesame, richiedeva ancora la demolizione per utilizzare il materiale risultante dalla demolizione stessa, per la ristrutturazione di altri manufatti di sua proprietà. Lo stesso immobile, successivamente demolito, ed il relativo terreno veniva poi censito al catasto con la qualità di prato. L’attuale proprietario, ricorrente, aveva provveduto nel 2015 a richiedere i titoli edilizi, un permesso di costruire per opere di ristrutturazione edilizia, per la consistenza dell’ immobile e quindi come ricostruzione dell’immobile crollato o demolito alla quale vebniva allegata una documentazione dell’immobile preesistente. Il Comune, inviava al richiedente un preavviso di rigetto, del suddetto titolo edilizio, in quanto, la richiesta non era definibile come “Ristrutturazione Edilizia”vista l’impossibilità di desumere le entità iniziali immobiliari e la consistenza del relativo fabbricato. Infatti il diniego stesso, del Permesso a Costruire, riportava come causale, che non era dimostrata la “preesistente consistenza del manufatto da ricostruire”. La sentenza n° 723 del 2022 facendo un riesame di quanto accaduto evidenziava che “……L’Amministrazione comunale ha negato il rilascio del permesso di costruire in quanto: «la documentazione progettuale allegata all’istanza contiene una ricostruzione planimetria dell’ingombro a terra del preesistente edificio basata sulla materializzazione di coordinate topografiche fornite dall’Agenzia del Territorio, Ufficio Provinciale di Perugia e da rinvenimenti di alcuni “tratti di fondazione in loco, mentre la ricostruzione delle parti in elevazione è stata desunta esclusivamente dalla documentazione fotografica allegata alle precedenti pratiche edilizie depositate agli atti di questo Ufficio Tecnico e da una foto aerea risalente al volo del 17.10.1984 … pertanto … sulla scorta della documentazione allegata all’istanza, la ricostruzione dell’ingombro volumetrico del fabbricato indicata nelle tavole grafiche progettuali sia stata eseguita sulla base di elementi che non dimostrino inequivocabilmente ed oggettivamente la preesistente consistenza del fabbricato». Di conseguenza, l’intervento proposto è stato ritenuto non conforme alla vigente normativa in quanto non qualificabile come “ristrutturazione edilizia” e che “Giova rammentare che ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. d), della l.r. n. 1 del 2015 (nel testo vigente ratione temporis), negli interventi di “ristrutturazione edilizia” sono altresì ricompresi «quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza». La previsione normativa, riprende la definizione di cui all’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001, per cui «[c]ostituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza». Pertanto la disciplina regionale, in accordo con quanto previsto dal Legislatore nazionale, estende il concetto di ristrutturazione all’ipotesi di edificio che non esiste più, ma di cui si rinvengono resti sul territorio e di cui si può ricostruire la consistenza originaria con un’indagine tecnica”.
Inoltre si rendeva inequivocabile che “E’ necessario e sufficiente, quindi, per qualificare l’intervento come ristrutturazione, che l’originaria consistenza dell’edificio sia individuabile sulla base di riscontri documentali o altri elementi certi e verificabili (Cass. pen, sez. III, 25 giugno 2015, n. 26713; Cass. pen., sez. III, 30 settembre 2014, n. 40342); ove, invece non sia possibile l’individuazione certa dei connotati essenziali del manufatto originario (mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura) attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare, scatta la qualificazione dell’intervento di ricostruzione come nuova edificazione…” e che “La disciplina regionale, all’art. 22, comma 4, del reg.reg. n. 2 del 2015, è intervenuta a specificare quanto sopra, disponendo che «[q]uando l’edificio non è individuabile nella sua interezza originaria, perché parzialmente diruto, la sua consistenza, in assenza di chiari elementi tipologici e costruttivi è definita da elementi sufficienti a determinare la consistenza edilizia e l’uso dei manufatti, quali: a) studi e analisi storico-tipologiche supportate anche da documentazioni catastali o archivistiche; b) documentazione fotografica che dimostri la consistenza originaria dell’edificio; c) atti pubblici di compravendita; d) certificazione catastale»”.
La stessa sentenza precisava che: “dall’esame delle istanze presentate dal dante causa dell’odierno ricorrente nel 1983 «si è riscontrata la totale mancanza di quegli elaborati grafici (piante, prospetti e sezioni) che normalmente sono parte integrante dei titoli abilitativi e che avrebbero potuto dare certezza sulla consistenza del fabbricato rurale al tempo»; – per quanto attiene al censimento del bene al Catasto Fabbricati dell’Agenzia delle Entrate «lo stesso risulta essere stato registrato solo al Catasto Terreni e, quindi, privo dei grafici indicanti le destinazioni d’uso di ogni locale e relative altezze»…..” e che “….dall’esame complessivo della documentazione e per quanto sopra esposto, [si] ritiene che non sia oggettivamente possibile determinare con certezza l’ingombro planivolumetrico e del sedime dell’edificio né, tanto meno, se quanto dichiarato in sede di istanza di titolo abilitativo edilizio possa corrispondere con le reali fattezze dell’immobile preesistente», confermando in tal modo quanto affermato dal Comune circa l’impossibilità di definire la consistenza del preesistente manufatto e disvelando l’infondatezza delle censure attoree”. Alla luce di quanto sopra il relativo ricorso veniva respinto.

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